lunedì 22 settembre 2014

Riprendere Berlino.

Ti sei chiesto come sarebbe stato riaprire la porta di casa dopo tanti mesi. Se avessi sentito un vento caldo alle spalle o un rivolo d'acqua gelata lungo la schiena. Hai pensato già al clima rigido e la tua mano non si è mai fermata di zigzagare sui fogli immacolati. 
T'eri scordato di respirare, poi te lo sei imposto. Ora hai un polmone buono e uno in attesa d'ossigeno. Quando hai afferrato la valigia e hai sentito le piccole ruote rimbombare prima dell'uscita, ti sei chiesto cosa fosse rimasto a terra prima della partenza. 
Hai fatto una piccola carrellata di tutti i volti che hai sfiorato, guardato, incrociato. Per un attimo, solo un attimo, quando ti sei specchiato involontariamente sul finestrino unto del bus, hai sovrapposto i tuoi occhi al ricordo delle lacrime asciugate. Poi hai sentito il gorgoglio del mare africano, un ricordo sudato, e hai tirato un sospiro di sollievo. 
Non hai ancora raggiunto casa, ma stai già cercando le chiavi, soffocate, ingarbugliate sotto a un ammasso confuso di oggetti e oggettini. Le hai sentite suonare. «Eccole!» hai detto.
Adesso hai sete; ce l'hai spesso quando affronti il lungo cammino del ritorno. 
Hai guardato per due volte attraverso il vetro sudicio. Fuori, hai pensato, tutte le nuove opportunità che devono ancora palesarsi; dentro, invece, portavi quello che era già successo. 
Per un piccolissimo secondo hai pensato al blu, all'odore di zucchero del nord-europa e a quello che avevi addosso dopo aver fatto l'amore. Subito una vampata di calore al petto, le mani sudate, poi la sensazione piacevole, forse obbligata, d'aver poggiato la testa sul cuscino. Le vacanze fuori porta.
Hai sospirato. 
Ormai mancano poche fermate. 
Davanti una libreria a sconti e l'ultimo tratto di strada. 
Hai ricontrollato se le chiavi fossero proprio lì dove le avevi lasciate. Hai ripensato a cosa tu possa aver dimenticato prima del distacco da terra. Hai focalizzato in mente la tua scrivania, il letto stretto, ma di colpo ti sei distratto,  hai guardato le foto sul muro, hai pensato al Natale e la tua concentrazione se n'è andata a farsi benedire. 
Ultima fermata. 
Ne hai passate tante per arrivare fino a lì. All'inizio ti sei chiesto se la strada fosse quella giusta, se il bus fosse quello su cui eri sempre salito. «Ma sì, è questo», ti sei detto per rassicurati. Del resto, ormai non aveva più senso arrovellartici, anche perché casa era vicina. 
Il bus ha frenato di colpo, poi sfiatato.
Si sono aperte le porte. 
Alle narici ti è arrivato l'odore della tua strada. 
L'hai riconosciuto. 
Sei vicino. 
Hai sfiatato pure tu e poi hai sbuffato.
Con forza hai tirato giù la valigia e di nuovo hai ascoltato infastidito le rotelline litigare contro il marciapiede. 
Portone aperto, ascensore preso e sei arrivato alla porta. 
Hai cercato ancora una volta la chiave giusta. L'hai scelta. Gli hai fatto fare mezzo giro. 
Hai sentito qualcuno entusiasta salutarti. Non ti vedeva da molto tempo. 
T'ha chiesto subito come fosse andata, mentre tu correvi verso la tua stanza. 
«Bene - hai risposto - Ho un sacco di cose da raccontarti. Una follia dietro l'altra.» 
Poi ti sei fermato. Hai sbuffato un'altra volta. 
Hai bloccato il respiro e ti sei chiesto ancora: «Cos'è che ho lasciato prima di staccarmi da terra?».
Hai portato una mano alla fronte. Inaspettata, una goccia salata t'è colata dall'angolo di un occhio, fino al bordo delle labbra. Hai finalmente capito cosa fosse, ma ti sei detto «Troppo tardi!» e ti sei ripromesso di non domandartelo più. 
Abiti sparsi sul letto. Hai guardato un'ultima volta quella foto. Poi l'hai cestinata.
Valigia vuota e vita nuova che inizia. 
Per te, uomo-razzo, era arrivato il momento di riprendere Berlino.

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