lunedì 28 aprile 2014

Il mestiere della solitudine?

Tutte le sante volte che accendo una pipa davanti al computer, pronto a scrivere chissà quale fesseria romanzata, mi chiedo: ma come ci sono finito qui, bloccato nell'interminabile arrovellarmi sulla costruzione di una frase, con la schiena a pezzi e il mio giudizio autoritario che mi morde le mani? Vuoi vedere che anziché farlo per passione, in realtà, scrivo per solitudine?
Oh, santo cielo!
È per questo che è così importante creare dei buoni personaggi? Per avere la certezza di frequentare una buona compagnia? Ma si sa, la carne degli uomini di carta, il loro l'inchiostro, è imperfetta come quella di amico; così è la natura nostra.
Si ama per solitudine, ci si abbraccia per solitudine e si chiacchiera per solitudine. Più vado avanti, più riesco a riconoscerne i codici. Un mestiere, quindi, quello della solitudine, in cui riconoscere colleghi e clienti, con la speranza di essere licenziati quanto prima?

venerdì 25 aprile 2014

Il mercante dei verbi

Una volta, una ragazza mi regalò "Che tu per me sia il coltello". Non avevo capito che era innamorata di me. E mi capita spesso di confondermi e non capire. Quando succede, tirò fuori quel libro e mi dico che andrà tutto bene. La speranza è un verbo all'infinito. È un atto di fede. L'unica che ho, nei gesti di chi ha amato chi non non aveva capito niente.

giovedì 24 aprile 2014

Allora mi perderò lentamente

La realtà, cioè quella che noi chiamiamo 'avere delle cose da fare', mi fa stare chiuso fra parentesi, incastrato. Come se certe cose che non hanno nessun dispiego, i sentimenti per esempio, siano considerate una piccola deviazione dalla strada da fare. Un lungo rettilineo con un paesaggio orribile da percorrere in rapidità a tutti i costi. Un fiore d'acciaio.
Se così è, se l'amore che provo non è realtà, una cosa che 'non si ha da fare', ma una secondaria stradina che non ha direzione né meta, allora mi perderò lentamente. Vivrò fuori da quella parentesi. Senza destinazione finale.


mercoledì 16 aprile 2014

Alla mia generazione


Alla mia generazione hanno insegnato la legge della scorciatoia. Così è nata la febbre dell'aver talento a tutti i costi, amplificata dalle case editrici a pagamento, dai discografici fautori della coproduzione, dai datori di lavoro senza portafoglio e da tutti gli altri truffatori ad ampio spettro che hanno distrutto il buon cammino. 
Questa mia generazione è ormai spacciata ma possiamo insegnare alla prossima il percorso in salita, perché, nonostante la fatica immane, se ci pensate bene, nessuna discesa ha mai portato alla vetta ambita. 
Nessun generale a capo di una guerra contro l'anti cultura, ma un buon compagno di viaggio, come un libraio, che sappia orientarsi in questa landa desolata italiota. 


lunedì 7 aprile 2014

Lo strano caso del signor Tsutomu

Il 6 agosto 1945 Tsutomu Yamaguchi si trovava in viaggio d’affari a Hiroshima quando fu sganciata la bomba atomica sulla città; morirono più di centomila persone. 
Yamaguchi subì gravi ustioni alla parte superiore del corpo, ma sopravvisse, facendo così ritorno alla sua città natale, Nagasaki. 
Appena tre giorni dopo la città venne colpita dalla seconda bomba nucleare (Hey Tsutomu... che culo, eh?). Ma il mitico "Tsu" si salvò di nuovo. 
In entrambe le occasioni si trovava vicino al punto di detonazione.
È morto nel 2010, a causa di un cancro allo stomaco all’età di novantadue
anni. Perché ve lo racconto? Il signor Yamaguchi è un esempio lampante dell'inesistenza sia della fortuna che della iella. Due esplosioni subite e una vita che non s'è distrutta. Possiamo ragionare sul caso, su un probabile intervento divino (ammesso che ci crediate) o sulla sua natura aliena, ma i suoi novantadue anni dimostrano un incredibile attaccamento alla vita, che gli ha permesso non solo di sopravvivere, ma di sperimentare il mondo fino a novantadue anni.
Quindi, se qualcosa dovesse andarvi storto o alla grande, non gridate alla sfortuna né al miracolo. Tenetevi stretto tutto quello che vi succede e pensate alla storia del signor Yamaguchi. 
Magari nella vostra vita qualcosa cambierà. 

sabato 5 aprile 2014

Sul principio di indeterminazione


Essendo un campione di paragoni strampalati (nel 1973 m'hanno dato pure il Pulitzer per questo) stavo riflettendo sul principio di indeterminazione in relazione all'uomo (due cose facili facili). In soldoni, Heisenberg afferma che è impossibile misurare con esattezza sia la posizione che la velocità di una particella, perché quanto più si cerca di definire con precisione una delle due variabili tanto più diventa impredicibile la misura dell’altra. È una conseguenza naturale della duplice natura delle particelle. 
Ecco, mi faccio persuaso che anche l'uomo abbia una duplice natura (costante in ogni essere umano) e si ostina, inconsciamente, a perseverare in un errore di calcolo, perdendo di vista la misura di una delle sue due parti, sbilanciandosi a favore dell'altra. Così ha origine il sentimento del razzismo, il PD e la mia malattia mentale.