domenica 10 agosto 2014

Va, pensiero.

Visitammo i musei della Scala. Non riuscimmo a sentirne insieme la musica, su in piccionaia, come desideravo, ma ne godemmo comunque la gioia dei palchi alti e delle poltrone rosso velluto. Adesso, ch'io m'ascolto Verdi in notturna, come se tu mi parlassi, vedo te viverla accanto ad altra anima, seppur sicula, comunque non mia. E non provo più rancore né tristezza, solo vuoto di non essere stato io il tuo affannarti a comprare un abito scuro per accompagnare, di fianco, la mia cravatta nera. Mi dicesti «ti amo» e credo fu sincero, nonostante l'abbandono tuo repentino. E t'amo lo stesso, così t'amerò, e t'ho perdonato tutto, come il mio pensiero va e ti veste, ch'io sciocco ti creda ancora nuda, senza di me, nudo io or ora che non ci sei più; ma sarai vestita dallo sguardo di un altro e di altri ancora, che non sapranno, spero, come si soffra, com'io soffro ancora per te. E dunque «Va pensiero» il mio, immaginando la tua bocca chiusa in un sonno sereno, dov'io non ho più proprietà e non sono autore di tua serenità.

E Milano l'amo ancora.

mercoledì 6 agosto 2014

Al tratto di una matita

Il mio amore per te, e ricordalo bene, è legato al tratto di una matita. Al ricordo di un letto sudato, di un cuscino dalla federa arancio e sgualcita, che adesso mi sembra avere solo immaginato.
La mia memoria uccisa dalla massa pesante dei silenzi.
Ma il mio amore per te, ricordalo bene, ricordalo per me, è ancora qua.
Per te, sempre per te.
Anche se non esisti più.

martedì 5 agosto 2014

Ophelinha...

Ophelinha,
la ringrazio per la lettera. Essa mi ha portato dolore e sollievo allo stesso tempo.Dolore perché queste cose addolorano sempre; sollievo perché, in verità, l’unica soluzione è questa: non prolungare oltre una situazione che ormai non trova più una giustificazione nell’amore, né da una parte né dall’altra. Da parte mia, almeno, resta una stima profonda, un’amicizia inalterabile.
Lei non mi negherà altrettanto, vero?
Né lei, Ophelinha, né io, abbiamo colpa di tutto questo. Solo il Destino ne avrebbe la colpa, se il Destino fosse una persona a cui poter attribuire delle colpe.
Il Tempo, che invecchia i volti e i capelli, invecchia anche, ma ancor più rapidamente, gli affetti violenti. La maggior parte della gente, per la sua stupidità, riesce a non accorgersene, e crede di continuare ad amare perché ha contratto l’abitudine di sentire se stessa che ama. Se non fosse così, non ci sarebbe al mondo gente felice. Le creature superiori, tuttavia, sono private della possibilità di codesta illusione, perché non possono credere che l’amore sia duraturo, né, quando sentono che esso è finito, si sbagliano interpretando come amore la stima, o la gratitudine, che esso ha lasciato.
Queste cose fanno soffrire, ma poi il dolore passa. Se la stessa vita, che è tutto, passa, perché non dovrebbero passare l’amore, il dolore e tutte le altre cose che sono solo parti della vita?
Nella sua lettera è ingiusta con me, ma la comprendo e la scuso. Certo l’ha scritta con irritazione, forse perfino con dolore; ma la maggior parte della gente – uomini e donne – avrebbe scritto, nel suo caso, in un tono ancor più acerbo e in termini ancora più ingiusti. Ma lei, Ophelinha, ha un meraviglioso carattere, e perfino la sua irritazione non riesce ad essere cattiva. Quando si sposerà, se non avrà la felicità che si merita, certamente non sarà colpa sua.
Quanto a me…
L’amore è passato.
Non so che cosa desidera che le restituisca: lettere o che altro ancora.
Io preferirei non restituirle niente, conservare le sue lettere come il ricordo vivo di un passato morto come ogni passato; come un qualcosa di commovente in una vita quale la mia, in cui l’avanzare negli anni va di pari passo con l’avanzare nell’infelicità e nella delusione.
Le chiedo di non fare come la gente comune, che è sempre grossolana: che non giri la testa quando ci incontreremo; né abbia di me un ricordo in cui ci sia spazio per il rancore.
La prego, siamo l’uno con l’altro come due persone che si conoscono dall’infanzia, che si amarono da bambini e, sebbene nella vita adulta seguano altre strade e altri affetti, conservano sempre, in una piega dell’animo, il ricordo profondo del loro amore antico e inutile.
Per quanto forse “altri affetti” e “altre strade” possano concernere lei, Ophelinha, non certo me stesso. Il mio destino appartiene ad altra Legge, della cui esistenza lei è all’oscuro, ed è subordinato sempre più all’obbedienza a Maestri che non permettono e non perdonano.
Ma non è necessario che capisca quanto dico. Basta che mi conservi affettuosamente nel suo ricordo come io, sempre, la conserverò nel mio.
Fernando

(Lettera alla fidanzata - Fernando Pessoa) 


sabato 2 agosto 2014

La buonanotte del cavaliere inesistente

Non scrivo una buonanotte da tempo. Non molto, in realtà, ma mi sembra sia passata una vita intera dall'ultima volta. 
Quando scrivo, ormai, sarà vanità o mera abitudine, mi aspetto che qualcuno mi legga; solo che adesso, com'è già successo, spero che il mio lettore sia uno e uno solo, cioè Tu. Forse così non sarà, ma del dubbio, un dubbio che porta una firma di quattro lettere, scriverò ugualmente. 
Tornando a casa ho ascoltato "Normalmente" di Joe Barbieri. Un brano da evitare di questi tempi eppure, senza alcuna presunzione di masochismo, me lo son goduto, cantandolo a squarcia gola. Il mio concertino in solitaria. Più le note suonavano, più quelle quattro lettere si palesavano; una "s" e il resto che segue. È così. E più io rifugga certi luoghi, certi pensieri e certi brani, più i miei giorni calpestano sempre lo stesso sentiero. Lo so, è sbagliato, ma non ho mai avuto quella forza d'animo (mio Dio, chi ce l'ha?) di sorpassare, di evitare quello che andrebbe ignorato. Forse tu, a quanto ho capito, ce l'hai... 
Da molto tempo, ormai, non so più quale luce accenda i tuoi occhi, se una luce c'è ancora, e chi, non guardando sbadatamente le tue orecchie meravigliose, ti racconti nuove storie. Chi, nonostante l'insorgere di quest'estate zoppa e confusa estate, ti accarezzi le guance, quel lunghissimo braccio che tieni, o faccia qualche stupida battuta, che a volte costa caro, sulla tua frangetta che tieni lì, fissa e immutabile, per nascondere il tuo nervosismo. E spero ancora che nessuno conosca, come me, quel tuo neo sul piede... 
Più passa il tempo e più sento sfiancarsi l'addolcirsi dei ricordi, dello sforzarmi di far risuonare la tua voce nelle mie orecchie, nel nominare quell'ortaggio che sembrava definire, con un tratto deciso della tua matita, i nostri volti; gli stessi volti che hai disegnato tu e che lo hai, di proposito, fatto firmando il tuo volermi a ogni costo.
 Lo so, sono ridicolo. Scrivo sempre degli ultimi ottocento e otto giorni di sudore sopportato, scambiato, amato, ma che vuoi? Sono fatto così, lo sapevi prima e  anche adesso, probabilmente, ne sei ancora più cosciente. Un bacio lungo tutti questi giorni... un sentimento finito dopo l'aver sentito insieme una lingua francofona. 
Si scappa, si cambia, si fugge, si smette di volersi bene (non per me, mai) ma un naufrago, un Ulisse come me, non potrà mai distruggere e fare a brandelli l'idea di una Itaca, che penso sia tu, nella quale ritornare costi quel che costi. Ma forse tu sei quell'Itaca di cui mi parlano sempre tutti, quell'isola che si muove, si stacca, si stufa e vuole perdersi per le acque salate mediterranee. Io, invece, sono quell'omino barbuto che a stento riesce a tenere la rotta, una rotta fissa, che riporti, se pur con barba grigia e salata, il petto e il resto del corpo sopra la mia terra. 
Ma l'ora è tarda, il giorno pare uscire la testa tronfio, e mi tocca dover mantenere l'ennesima promessa: quella di augurarti una buonanotte prolissa ma sincera. E quindi, ora che sento i primi cinguettii, m'è d'obbligo lasciarti, ancora una volta, ma senza quella promessa che un tempo, almeno per me, dura ancora oggi e che non posso più comunicarti, perché pare che tu non ci creda mai più.
Notte, davvero. 
sempre tuo, 
come allora,
come a ogni febbraio,  
Hanky.