mercoledì 29 gennaio 2014

L'insonnia è una questione di calcolo.

L'insonnia è una questione di calcolo. C'è chi prende sonno e chi lo perde. Io appartengo alla seconda categoria e avere una 'n' di riserva e una buona dote anagrammatica potrebbero essermi utili. Ma a me mancano entrambe. Sono sfortunato e a differenza dei fortunati, a me una 's' avanza sempre, pur non anagrammando.










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«Dalla terra di Sciascia e Camilleri, un noir scritto come Dio comanda.»
(Bruno Morchio)
«I Commissari del giallo italiano dovrebbero essere commissariati. Sono troppi. Alcuni dovrebbero essere degradati. Altri, tra cui il commissario Portanova, meriterebbero. dopo una attenta lettura, la promozione a vice questore.» 
(Andrea G. Pinketts)
«Siracusa è la sua città d’adozione e questo primo libro è quasi un omaggio alla sua bellezza.»
(L’Espresso)
«"Il gioco delle sette pietre" è un'esplosione di sentimenti ed emozioni.»
(Giallomania.it)
«Un giallo “accomodato", che lascia la bocca amara e fa ballare, sullo sfondo, torbidi giochi passionali e subdoli intrighi di potere.»
(MilanoNera)
«È scritto bene [...] Descrittivo e narrativo fino al particolare, diventa fluido ed essenziale quando il dipanarsi della trama lo richiede. E poi è amaro, molto amaro, con una visione disincantata della vita e un’accusa, nemmeno tanto velata, contro una mentalità para-mafiosa che qui, per imporsi, non ha bisogno di gesti eclatanti, di stragi, di ammazzamenti, ma di opportuni comportamenti, di piccoli gesti e di ripetute omissioni. Elementi indispensabili per alimentare una palude che inghiotte tutto e tutti e che condiziona la vita di una terra che pare aver smarrito la speranza.»
(Marco Della Croce)
«Già è un bel leggere, per di più “Il gioco delle sette pietre” è ben scritto, Minnella sa creare l’atmosfera, già nel far vibrare l’aria del mare e della terra, nella noia esistenziale del poliziotto, nella sua necessità di pulizia e moralità.»
(Gazzetta di Mantova)

lunedì 27 gennaio 2014

La notte è un suono lontano

Una giornata finita 
non è che un problema rimandato all'indomani. 
Un'attesa calda, 
sottocoperta, 
al riparo dal mondo sciocco. 
La mancanza di Teo 
che russa vicino al mio petto. 
La notte, 
la mia notte, 
è un suono lontano, lontano, lontano...  








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(Bruno Morchio)
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(Andrea G. Pinketts)
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(L’Espresso)
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(Giallomania.it)
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(MilanoNera)
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(Marco Della Croce)
«Già è un bel leggere, per di più “Il gioco delle sette pietre” è ben scritto, Minnella sa creare l’atmosfera, già nel far vibrare l’aria del mare e della terra, nella noia esistenziale del poliziotto, nella sua necessità di pulizia e moralità.»
(Gazzetta di Mantova)

mercoledì 15 gennaio 2014

Il tempo imperfetto

Il tempo degli altri è sempre un tempo presente, perfetto, clinico, che non fa la cacca e non ha bisogno di essere rincorso. Il mio no. Il mio parla all'imperfetto, ha sempre lo stomaco in subbuglio, i capelli spettinati e lo sguardo disgustato come quello di un vegetariano che ha appena vomitato carne dagli occhi. Il mio tempo è un tempo ubriaco e disfatto. Si permette pure il lusso di arrivare in ritardo. Come? Una volta l'ho invitato a pranzo chiedendogli di portare una bottiglia di sogni e lui s'è presentato dieci anni dopo, per cena e a mani vuote, nell'appartamento sbagliato.  



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(Bruno Morchio)
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(L’Espresso)
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(MilanoNera)
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(Gazzetta di Mantova)

martedì 14 gennaio 2014

L'universo (è)spanso

"Is this the world we created?» cantavano i Queen e mi chiedo anch'io se è questo l'universo che abbiamo preteso a tutti i costi. Corti di Cassazione che ritardano verità a suon di sbadigli e sedicenti figli che s'aggrappano, s'appigliano alle braghe di un giudice per confermare che anche lui è figlio di Tizio. Tutti orfani eccellenti, alla conquista di una paternità qualsiasi. 
Una ricerca spasmodica di ripulire verità su verità. Bugie fattesi plastica e rivendute alle nuove generazioni come giocattoli vintage «ma pur sempre di grande divertimento». 
"What did we do it for?" continuava a urlare Mercury, ma oltre l'arpeggio di Brian May, anche lui si è trovato solo folle ingozzate di silenzio, bramosi fan che un tempo riempivano gli stadi e che adesso fanno il tifo per il primo artista della politica infilatosi gioco-forza nelle prime cabine elettorali disponibili, con una 'bugia' accesa in mano e una faccia rassicurante color petrolio.  
L'universo è espanso, della stessa consistenza del polistirolo e io, scusatemi tanto, ho paura che queste piogge torrenziali di bravi ciambellani e ottimi intellettuali, che odiano Laura Pausini ma impazziscono per un X-Factor qualunque, possano definitivamente marcirlo. 









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«Siracusa è la sua città d’adozione e questo primo libro è quasi un omaggio alla sua bellezza.»
(L’Espresso)
«"Il gioco delle sette pietre" è un'esplosione di sentimenti ed emozioni.»
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«Un giallo “accomodato", che lascia la bocca amara e fa ballare, sullo sfondo, torbidi giochi passionali e subdoli intrighi di potere.»
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«È scritto bene [...] Descrittivo e narrativo fino al particolare, diventa fluido ed essenziale quando il dipanarsi della trama lo richiede. E poi è amaro, molto amaro, con una visione disincantata della vita e un’accusa, nemmeno tanto velata, contro una mentalità para-mafiosa che qui, per imporsi, non ha bisogno di gesti eclatanti, di stragi, di ammazzamenti, ma di opportuni comportamenti, di piccoli gesti e di ripetute omissioni. Elementi indispensabili per alimentare una palude che inghiotte tutto e tutti e che condiziona la vita di una terra che pare aver smarrito la speranza.»
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sabato 11 gennaio 2014

È inutile

È inutile spiegarvi certe debolezze, certi amori. Potrei parlavi di Teo per ore, ma nulla potrei scrivere, non ancora, per rendervi complici del mio dolore infinito riguardo alla sua assenza. Dal maggio scorso, per me, il mondo è cambiato. In peggio. La mia sensibilità si è amplificata; le mie paure triplicate. Il mio cinismo è diventato cosa concreta, tanto da assumere sembianze umane. Emana un puzzo riconoscibile e mi fa paura. Più della paura del buio che avevo qualche anno fa.
È sentirsi niente. Nessuna cosa da difendere. 
E disperso in mare, ingoio acqua salata, privo di speranza.



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«È scritto bene [...] Descrittivo e narrativo fino al particolare, diventa fluido ed essenziale quando il dipanarsi della trama lo richiede. E poi è amaro, molto amaro, con una visione disincantata della vita e un’accusa, nemmeno tanto velata, contro una mentalità para-mafiosa che qui, per imporsi, non ha bisogno di gesti eclatanti, di stragi, di ammazzamenti, ma di opportuni comportamenti, di piccoli gesti e di ripetute omissioni. Elementi indispensabili per alimentare una palude che inghiotte tutto e tutti e che condiziona la vita di una terra che pare aver smarrito la speranza.»
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sabato 4 gennaio 2014

Hanky "Grampasso", il ramingo per una notte.

È stata una lunga serata da ramingo, la mia. Girovago fra pub, che mi delizio nel chiamarli "locande di ogni genere" (locanda: per me grande complimento) ho riassaporato, almeno per una sera, l'indefinibile sensazione della non appartenenza; cioè, un tipo qualunque, quasi senza nome, che giunge, ascolta e ribatte, solo quando questo gli è possibile. Senza corpo, forse, ma di sicuro fatto di spirito (non di quello servito ai banconi), forte al naso e che brucia gli occhi, il ramingo si mette in cammino e raggiunge altri spiriti. "Cuori e parole in piccole botti di legno" è quello che può riassumere questa notte. Il titolo di un album pazzesco, scritto da Carmelo Amenta. Ramingo, anche lui, in una notte che più fredda, al sud e in una città di porto, non si può, che urla e dice no all'oste, per poi riprendere il suo viaggio, magari verso casa, fumando il suo tabacco preferito. Ecco, adesso, che anch'io godo del tempore di casa, mi viene in mente il "Grampasso", il suo boccale e la sua pipa e quindi, visto che qui posso, ecco un estratto tolkeniano al riguardo. Buona lettura.

"D'un tratto Frodo notò un individuo dall'aria strana, segnato dalle intemperie, che sedeva in ombra vicino al muro ascoltando attentamente la loro conversazione. Aveva un grosso boccale di metallo davanti a sé e fumava una pipa dal lungo cannello intagliato stranamente. Teneva le gambe distese e portava degli stivali alti di una pelle morbida e di ottima fattura, ma ormai alquanto logori e ricoperti di fango. Un mantello di pesante panno verde scuro scolorito dal tempo lo avviluppava interamente e, malgrado il calore della stanza, egli portava un cappuccio che gli faceva ombra al volto: ma i suoi occhi che osservavano gli Hobbit brillavano nella mezza oscurità.
«Chi è quello?», chiese Frodo, quando ebbe l'occasione di sussurrare all'orecchio del signor Cactaceo. «Non mi pare che ci sia stato presentato».
«Quello?», disse l'oste a bassa voce, lanciandogli un'occhiata senza però voltare la testa. «Non saprei dire esattamente. È uno di quelli che vanno vagando, e che noi chiamiamo Raminghi. È un tipo taciturno, ma se ci si mette, racconta storie veramente uniche. Scompare per un mese, un anno, e poi spunta di nuovo all'improvviso. La scorsa primavera l'ho visto un bel po' di volte, ma di questi tempi si fa vivo molto più di rado. Come si chiama veramente non l'ho mai saputo, ma da queste parti tutti lo chiamano Grampasso."


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(Andrea G. Pinketts)
«Siracusa è la sua città d’adozione e questo primo libro è quasi un omaggio alla sua bellezza.»
(L’Espresso)
«"Il gioco delle sette pietre" è un'esplosione di sentimenti ed emozioni.»
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«Un giallo “accomodato", che lascia la bocca amara e fa ballare, sullo sfondo, torbidi giochi passionali e subdoli intrighi di potere.»
(MilanoNera)
«È scritto bene [...] Descrittivo e narrativo fino al particolare, diventa fluido ed essenziale quando il dipanarsi della trama lo richiede. E poi è amaro, molto amaro, con una visione disincantata della vita e un’accusa, nemmeno tanto velata, contro una mentalità para-mafiosa che qui, per imporsi, non ha bisogno di gesti eclatanti, di stragi, di ammazzamenti, ma di opportuni comportamenti, di piccoli gesti e di ripetute omissioni. Elementi indispensabili per alimentare una palude che inghiotte tutto e tutti e che condiziona la vita di una terra che pare aver smarrito la speranza.»
(Marco Della Croce)
«Già è un bel leggere, per di più “Il gioco delle sette pietre” è ben scritto, Minnella sa creare l’atmosfera, già nel far vibrare l’aria del mare e della terra, nella noia esistenziale del poliziotto, nella sua necessità di pulizia e moralità.»
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giovedì 2 gennaio 2014

Incipit "Il gioco delle sette pietre, Siracusa 1964"

«L’eco dei tuoni rimbombava minacciosa fuori dalla porta d’ingresso del ristorante. La pioggia nera di quella notte siracusana si era fatta, per qualche ora, schermo d’acqua e aveva diviso il bene dal male, il mare aperto dalle acque stantie dello stagno.
L’aria era satura di polvere da sparo e l’odore ferroso del sangue si faceva largo fra i fumi brumosi dei revolver.
Il corpo della donna era ricoperto da una decina di foto non più grandi di un portafogli. Aveva gli occhi spalancati sul nulla e la carne del viso sbiadiva a ogni goccia di sangue che le colava dalla fronte. Le mani s’erano disperse sul freddo pavimento; non si sarebbero mai più ricongiunte.
La bocca era aperta e al di là dei denti, le labbra sembravano pronunciare la lettera “G”, lasciando che il resto del nome fosse ingoiato dal cadavere di un amore finito.
Accanto a lei, Antonio Gurciullo stava disteso privo di conoscenza, con i baffi umidi dallo spavento e il cuore stritolato in un pugno di dolore. La ferita d’arma da fuoco che aveva sul fianco stava peggiorando.
L’amore l’aveva ingannato.
A meno di un metro da lui, Paolo Portanova sanguinava da una gamba. Aveva il braccio destro mezzo rotto e il dolore alle spalle era feroce, come se avesse alzato, tutto solo, il peso di quel- la storia maledetta dove la sete di potere e di vendetta aveva infilzato le proprie unghie, imbevute di veleno, nelle carni molli dell’amore.
Arrancava. Cercò di tamponare la ferita di Antonio Gurciullo con un lembo dei suoi pantaloni, ma sapeva già che metterci una pezza sopra non gli avrebbe salvato la vita.
«Gurciullo riesci a sentirmi?» disse schiaffeggiandolo su una guancia. «Resta sveglio... resta sveglio.»
Corse zoppicando da una stanza all’altra, lasciandosi alle spalle i due corpi, tracciando una scia di sangue sottile e irregolare per tutta la cucina.
Raggiunse la sala da pranzo dove Iannelli giaceva a faccia in giù, riverso sulle mattonelle in cotto. Si chinò su di lui e lo rigirò da un lato, con la pancia che puntava al tetto. Una macchia scura copriva sia il ventre che parte dei pantaloni. Sul viso era tatuata la smorfia cattiva della paura. Puzzava di piscio e di cane bagnato.
Gli tastò il polso. Era ancora vivo.
All’appello mancava un solo cadavere che avrebbe fatto la sua comparsa più tardi, quasi per caso, con lo stesso ritardo con cui un uomo si rende consapevole dei propri errori, quando tutto è irrimediabilmente compromesso.
Andò alla cassa, dove sapeva già esserci un telefono. Alzò la cornetta e compose il numero della centrale di polizia.
«Camurro?»
«Commissario, che succede?» disse sentendo la voce flebile del suo superiore.
«Manda un’ambulanza in via Delle Carceri Vecchie n.5. Fai prest...»
Non riuscì nemmeno a finire la frase.
Trascinò con sé il telefono aggrappandosi al filo riccioluto del- la cornetta. Gli occhi gli si chiusero con la lentezza con la quale una piuma cade a terra dopo una danza scomposta a mezz’aria. Vide la luce affievolirsi. Gli restò solo una piccola fessura che affacciava appena sulla vita, poi cadde svenuto per terra, come fan- no i pesci senza il loro mare, liberati dall’amo e scaraventati in barca in preda all’asfissia.
L’apparecchio gli cadde sulla fronte lacerandogli un sopracciglio. Sentì il rumore di uno squarcio violento sopra la testa e quando la cornetta gli si poggiò sul petto, la pioggia smise di cadere rimestando la verità e l’inganno.
E così come era iniziata dallo squillo stridulo del telefono dell’agente Camurro, adesso si concludeva allo stesso modo, abbandonando i protagonisti di questa storia nella melma putrescente della menzogna.
Il cielo di carta di Portanova si stava strappando.»


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«Siracusa è la sua città d’adozione e questo primo libro è quasi un omaggio alla sua bellezza.»
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(Gazzetta di Mantova)