domenica 21 ottobre 2012

La Casa Rosa

Scrivo di notte, perché di notte si scrive bene. Meglio. Di notte, più che altro, si possono giustificare i refusi (e io ne sono un campione) e qualche frase stralunata. Nella casa rosa poi, ogni singolarità, ogni forma di diseguale conformità comportamentale, sembra passare in secondo piano. Ci si sente come ospiti. Come parte temporanea di altri racconti, altri modi di vivere la vita. Viaggiatori disorganizzati di una gita faticosa, già programmata. Eppure, geniale. Sarà forse colpa di questo rosa, totalmente assente nell'appartamento, che ti costringe a immaginarlo, a ficcarti dentro un'idea di perfezione nonostante la polvere, lo sporco dei piatti e le nebbie delle sigarette. Qui è sempre notte. Tutto difforme, sbiadito. Tutto giustificabile. E se anche a voi, un giorno, capiterà di entrare nella Casa rosa, fermatevi. Respirate a lungo e sgualcitevi i pensieri. Dite due o tre parolacce e poi brindate. Se fumate è anche meglio. E' un rituale. Penserete a noi, che siamo stati qui e che da qui non siamo più andati via. Noi che fuori di qui non abbiamo avuto più il senso della notte. Privati di quel buio che assolveva, scagionava l'arrivo della luce del mattino, così immensa e codarda.

giovedì 11 ottobre 2012

Parlare di notte

Serata strana. Molto strana. Una di quelle in cui t'aspetti sempre che la radio passi un brano degli Stones. Quelle ore notturne dove il mondo converge tutto in un tavolo verde, di plastica. Dove l'assortimento delle persone tutto può e tutto comunica. Io ero lì. In mezzo. A volte isolato, altre no. Neanche fossi Jean-Baptiste Clamence in qualche bettola di Amsterdam. Le ore, stasera, non passavano. Non ne avevano bisogno. Inizio e fine. Ecco tutto. Bastava sedersi e poi andare via. Alzarsi piano piano, mettere una mano nella tasca della giacca e poi, spaesato e distorto, andare via. Nessuno ricorderà mai cos'è successo a quel tavolo. Di plastica. Io, per esempio, non ricordo nulla. Solo una manciata di persone con un bicchiere in mano, la numerologia e il mio amico Antonello che girava sigarette. Prima una. Poi due, tre... e così via. Fumavo e bevevo. Stavano lì. Seduti. E io guardavo. Guardavo questo teatro di anime siciliane e lo spettacolo, vi assicuro, era la migliore commedia umana del mondo.