domenica 23 dicembre 2012

Questa non è una pipa


Noi fumatori di pipa, anche se s'indossa una certa età, siamo sempre oggetto di una piccola e leggera derisione pubblica. Si pensa erroneamente spesso che sia una cosa da vecchi. Datata o peggio ancora, desueta. Nessuno sa, invece, che di "vecchi" con la pipa non ce ne sono più. Parlate voi, fumatori esclusivi di sigarette, che dell'oggetto in sé poco v'importa, perché lo buttate con menefreghismo sulla schiena dei marciapiedi, e bruciate tabacco e polmoni. E lo pestate, arroganti e volgari, pur di spegnerlo.
A noi fumatori di pipa, pipari, pipaioli e pipisti, interessa gustare, assaporare, odorare e nobilitare la riflessione attraverso i tabacchi. E per farlo bisogna studiare, innamorarsi e appassionarsi.
Quando finisci di fumare una pipa non la butti mica. La tieni, la conservi. La riponi in tasca, ancora calda come un'amante dopo l'amplesso. E come tale la curi. Ogni volta. Ogni santa volta che vuoi fumarla. Per noi la pipa è una compagna. Una sorta di complice. Silenziosa e affascinante. E questo vizio, questo modo di nobilitare il tabacco, non ce l'ha nessuno. Né il fumatore di sigarette né quello di sigari. Tenetevi per voi i vostri insignificanti e traboccati giudizi. Tanto un fumatore di pipa lo fisserete sempre. Sarà sempre al centro dell'attenzione; la vostra. Perché è una setta per voi, per noi. Perché non è un colpo di accendino e via. Perché si può pure stare zitti e soli e goderne come se si fosse Dio.

sabato 15 dicembre 2012

Lascialo stare: è un bravo picciotto

Davvero; io voglio solo andare a dormire. Ma qualcosa è andato storto. Come quella sera, eravamo in tre a un tavolo qualsiasi di un comune locale notturno della periferia siracusana, in cui un mio amico scrittore, che di nome faceva Giovanni, ci leggeva con passione ciò che aveva appena scritto. Partorito. Fu un attimo, un lampo, che di colpo qualcuno iniziò a insorgere contro lui. Contro di me.
"Ha voglia di fare casino a tutti i costi", mi dissero i suoi compari. "No è che è un coglione" risposero alcuni presenti. Bastò questo per distruggere gli intenti nobili di Giovanni, dagli occhiali in osso neri e grandi, così come era il suo capello grigio di lana che gli copriva in parte lo sguardo ubriaco, che volle solo raccontarci una storia con l'apparente  intenzione di escluderci dalla performance. O forse, involontariamente, volle coinvolgere tutti, a suo discapito. Questo è ancora da capirsi.  Lo so, lo so. Vi sto violentando con la solita, spicciola, morale d'apertura. Quindi, mi fermo. Non voglio né dilungarmi né divagare. Voglio semplicemente dirvi che l'intromissione violenta, offensiva e gratuita di quell'orso, che solo-perché-io-non-la-penso-come-te-allora-devi-morire, distrusse inesorabilmente la vita di qualcuno. Quella di Giovanni, forse, e anche quella di Aldo, l'altro terzo del tavolo. E in tutta onestà, anche quella mia.
Fu quel "non la penso come te" che mi divorò e mi istigò, continuamente, a numerosi e consequenziali conati di vomito che non mi permisero di dormire. Proprio come adesso. A distanza di anni. Dopo un paio di vite vissute.
Io, quella sera, avrei voluto solo addormentarmi e invece, quel tizio, mi tenne e mi tiene sveglio come fosse un faro gigante che punta dritto sulla mia faccia nel bel mezzo della notte. Un'angoscia abbracciatasi al buio della mia camera da letto. Per sempre.
Rimugino e rimugino e quel che mi viene da dirvi è: se questa insurrezione è l'arma letale che l'uomo spende nei confronti dei suoi simili, io, con enorme gioia, mi tengo fuori. Davvero.  Non voglio più niente dal pianeta Terra. Non voglio credere, assolutamente, più a niente. Non voglio nessuno. Non voglio nessun confronto. L'unica cosa che voglio e che volevo, è quella di dormire. Lasciatemi a occhi chiusi. Fermo lì. Immobile. Rannicchiato in posizione fetale nella speranza che il risveglio mi porti a un'altra nascita. In un altro posto. In un altro pianeta. Che siate voi a eliminarvi e che non sia io a farlo con le mie mani. Con le mie sbiadite parole. Ecco.

giovedì 13 dicembre 2012

Trenino fai da te: capodanno 2012


Superata la bufala della fine del mondo, del Natale e delle prime cene da campagnoli, com'è da tradizione, dopo l'ultimo secondo di questo 2012 zoppo, balbuziente e anche un po' cafone, partiranno in tutto il mondo occidentale trenini a dismisura. Il “pepepepè” è d'obbligo e “Brigitte Bardot, Bardot” non potrà certo mancare. Mani unte e sudaticce sulle spalle del commensale che vi precede (per capirci: un parente antipatico a caso, che nessuno aveva invitato e che, invece, è un "sempre-presente" a qualsiasi festa familiare si organizzi) e il telefonino che trabocca di sms, tutti uguali, di disinteressato e plasticoso augurio. Inutile dirvi che chi non si lascia trasportare da questa magica e splendida euforia (sigh!) del «Dai ma che fai non ti alzi per il trenino pure tu?», rischia di iniziare l'anno nuovo col peggiore degli animi. Nuovo; che poi secondo me ci riciclano sempre lo stesso anno (di sicuro il 1994 data la ri-ri-ri-ri-ri-ri-ri-scesa in campo di Berlusconi), cambiando copertina e aggiungendo, con meticolosa precisione, dieci preoccupazioni per ogni mezza gioia recuperata. Proprio per questo, se proprio non riuscite ad evitare il trenino di cui sopra, è mio dovere consigliarvi di inneggiare al capodanno (avendo bevuto un buon sorso di alcol puro, perché ce ne sarà bisogno, credetemi), con queste cinque probabili musiche per trenini, divise per tipologia di festeggiato:
1) The Rolling Stones - Start me Up: Per chi ha brindato con Jack e birra e al risveglio più che pensare al nuovo anno, esclamerà  «ma dove cacchio sono e chi è quel folle che ha lasciato del rum ancora dentro la bottiglia?». 
2) Frank Sinatra - You are the sunshine of my life:  Per tutti quelli che «va bene lo "sciampagn", ma io vado di spumante, perché italiano è bello e visto che sono italiano, sono bello pure io».
3) The Beatles - Obladì Obladà: Per chi è da solo e «va bene così tanto i parenti e gli amici li odio tutti, anche se, almeno, avrei voluto brindare con la mia fidanzata che, invece, è non con quella stronza dell'amica sua».
4) Elton John - Crocodile Rock: Per chi ha speso 300 euro (e forse sono pochi) per il famoso cenone di capodanno che «a noi ci piace farla sporca, tanto è l'ultimo capodanno perché i Maya ci hanno detto che hanno spostato tutto al febbraio 2013 e noi ci crediamo perché loro sono gente seria».
5) Enzo Jannacci - Quelli che... : Per tutto il resto del mondo che, da sempre, affida i propri capodanni a qualche amico che ha avuto l'idea migliore, ovvero: «Ognuno a casa sua e poi ci si vede da sbronzi in giro per la città, esattamente come abbiamo fatto per il resto dei 364 giorni di quest'anno».
Buone vacanze. 
Hanky. 

giovedì 6 dicembre 2012

È un viaggio per viandanti pazienti, un libro.


C'è chi non lo sopporta. Di passeggiare per qualche ora in una delle librerie del centro, dico. Per me, invece, è un momento di fuga spensierata, di ricerca. E' tutto uno girarsi e strizzare gli occhi e chinarsi. Mi piace pensare che gli autori siano lì, a mia disposizione, e che quando ne tiro fuori uno con forza, incastrato fra altri mille, lo libero dall'anonimato. Mi sembra sempre di sentire un grazie-anche-se-non-ti-conosco. Bisogna passarci molto tempo nelle librerie. E passeggiare con calma. Perché per conoscere qualcuno, almeno un po', almeno per sbirciare la sua quarta di copertina, ci vuole tanta dedizione e altrettanto amore.

giovedì 29 novembre 2012

Tecnicamente (Lettera aperta al blog di Hanky, di Simone Cassarino)

Caro Hanky, cari lettori. 
Tecnicamente, in un governo quelle decisioni prese dai tecnici, non sono tecniche, ma politiche. Il politico-tecnico, tecnicamente, è come un idraulico: se sei fortunato ti sistema i tubi, se sei sfortunato, si fà anche tua moglie. Tecnicamente! 
Tecnicamente, dai Monti alla Passera ci sono tanti idraulici, in un'assemblea fra tecnici, dove tecnicamente, discutono di giunture da sistemare, e tubi da cambiare, riducendo comunque il flusso d'acqua. Tecnicamente, l'acqua serve, ma è dei tecnici che potremmo fare a meno. 
Tecnicamente un muratore è un tecnico, ti può costruire la casa e, se è bravo, le fondamenta sono solide. Altrimenti, ti crolla addosso. 
Peccato che tecnicamente il muratore incapace, quando costruisce il suo di tetto, smette di essere un incapace, diventando tecnicamente minuzioso. E' con il mio di tetto che è approssimativo (gli crollasse a lui in testa...sempre tecnicamente eh?). 
Il problema, infine, è che "tecnicamente" non si possono sedere in Parlamento idraulici o muratori, anche se "politicamente" sarebbero più politici dei tecnici e chi lo sa, magari riuscirebbero a risolvere realmente i problemi di un popolo.

di Simone Cassarino

sabato 24 novembre 2012

Tutte le volte che dico addio

Mi accendo la pipa e mi siedo. Davanti a me ci sono due mie cari amici. Amicizie da pub. Amici autentici. Naturali. Si chiacchiera e si ride. Si parla di politica, di sfruttamento del lavoro. Alzo la voce sulla disumana condizione degli extracomunitari che io amo chiamare "gente del mondo" e ci si commuove. Beviamo. Un sorso al mio bicchiere, uno a testa, i due ai loro bicchieri. Stringo la pipa, faccio un paio di boccate e mi libero sopra le teste di tutti seguendo il fumo del mio tabacco. Siamo tanti e siamo in pochi. Noi tre a quel tavolo. Sentiamo profonda la nostra non diffidenza e percepiamo ancora più forte la voglia di parlare con chi non la pensa come noi. «Qui manca il pluralismo», dice Marco. «Abbiamo sempre ragione solo fra noi pochi», sostiene Nello. E si va avanti, per ore. Il tempo passa così in fretta che arriviamo quasi a baciare l'alba. Gli occhi sono ancora lucidi, soprattutto i miei. Poi un saluto veloce e si va a casa. La mia macchina è lontana e da sotto il cielo, piccolo come sono, piove. Le mie scarpe di tela singhiozzano sopra le pozzanghere e finalmente entro in macchina. Sono al sicuro, sul sedile del guidatore e penso: «quante di queste discussioni gli altri fanno?» Spero tante. Infinite. Spero di far parte della massa. La stessa che per me significa popolo. Significa identità, dignità umana. Penso a chi crede in Dio e viene deriso. Penso a chi non ci crede e viene ugualmente umiliato, sbeffeggiato. Rifletto sulla non dignità umana di questo paese. Penso a me. A voi. E a fatica, riesco a chiudere gli occhi, nella speranza di svegliarmi domani e di avere ancora la voglia di scrivervi, con la mia solita rabbia, con il mio inguaribile caratteraccio, con la voglia di sentire la vostra voce che mi critica e mi approva."

domenica 21 ottobre 2012

La Casa Rosa

Scrivo di notte, perché di notte si scrive bene. Meglio. Di notte, più che altro, si possono giustificare i refusi (e io ne sono un campione) e qualche frase stralunata. Nella casa rosa poi, ogni singolarità, ogni forma di diseguale conformità comportamentale, sembra passare in secondo piano. Ci si sente come ospiti. Come parte temporanea di altri racconti, altri modi di vivere la vita. Viaggiatori disorganizzati di una gita faticosa, già programmata. Eppure, geniale. Sarà forse colpa di questo rosa, totalmente assente nell'appartamento, che ti costringe a immaginarlo, a ficcarti dentro un'idea di perfezione nonostante la polvere, lo sporco dei piatti e le nebbie delle sigarette. Qui è sempre notte. Tutto difforme, sbiadito. Tutto giustificabile. E se anche a voi, un giorno, capiterà di entrare nella Casa rosa, fermatevi. Respirate a lungo e sgualcitevi i pensieri. Dite due o tre parolacce e poi brindate. Se fumate è anche meglio. E' un rituale. Penserete a noi, che siamo stati qui e che da qui non siamo più andati via. Noi che fuori di qui non abbiamo avuto più il senso della notte. Privati di quel buio che assolveva, scagionava l'arrivo della luce del mattino, così immensa e codarda.

giovedì 11 ottobre 2012

Parlare di notte

Serata strana. Molto strana. Una di quelle in cui t'aspetti sempre che la radio passi un brano degli Stones. Quelle ore notturne dove il mondo converge tutto in un tavolo verde, di plastica. Dove l'assortimento delle persone tutto può e tutto comunica. Io ero lì. In mezzo. A volte isolato, altre no. Neanche fossi Jean-Baptiste Clamence in qualche bettola di Amsterdam. Le ore, stasera, non passavano. Non ne avevano bisogno. Inizio e fine. Ecco tutto. Bastava sedersi e poi andare via. Alzarsi piano piano, mettere una mano nella tasca della giacca e poi, spaesato e distorto, andare via. Nessuno ricorderà mai cos'è successo a quel tavolo. Di plastica. Io, per esempio, non ricordo nulla. Solo una manciata di persone con un bicchiere in mano, la numerologia e il mio amico Antonello che girava sigarette. Prima una. Poi due, tre... e così via. Fumavo e bevevo. Stavano lì. Seduti. E io guardavo. Guardavo questo teatro di anime siciliane e lo spettacolo, vi assicuro, era la migliore commedia umana del mondo.

mercoledì 29 agosto 2012

L'arte contro il razzismo

Pensate a un pittore. Un pittore razzista, che per fare i suoi quadri usa un solo colore e un solo pennello. Ha speso tanto nel disegnare il suo quadro e adesso che è il momento di dipingerlo, di renderlo vivo e vitale, ha un solo colore nella sua tavolozza. Dopo le prime pennellate si accorge di aver perso tutto. Il volto di quella donna, non si vede più. Gli alberi, il cielo, gli sguardi della gente sullo sfondo. Niente. Poi, arriva suo figlio. E' piccolo, ma piuttosto sveglio. Guarda dal basso il padre e fa: "Papà, la maestra m'ha detto di disegnare i miei compagni di classe. E siamo tanti in classe. Tutti con la pelle diversa. Chi egiziano, chi italiano, del nord e del sud, chi inglese, francese e pure uno musulmano. Che non so dove si trovi la musulmania, ma musulmano lo è. Lo dice pure Gianni, il mio compagno di banco." Il padre, pittore, ride ma è confuso. "Che vuoi da me?" chiede nervoso. E il piccolino: "Ho pensato che il miglior modo per disegnare tutti è quello di disegnare qualcosa che non ha nazioni, lingue o malanni mentali. Ho pensato di dipingere la musica. Ma io non so dipingere. Tu sì, invece. Ma ti servono tanti colori. Tutti. Anche quelli che non esistono. Con quello soltanto non puoi nemmeno farmi i capelli. Li ho biondi?! Perciò, papà, butta via quel nero e compra tanti colori. Perché se tu non riesci a dipingere la musica, la mia classe scompare. E se scompaiono i miei compagni, scompaio pure io."

martedì 21 agosto 2012

Ho un amico a cui hanno ammazzato il fratello

Le notti passano con molta facilità. Tutte uguali e tutte scarne di senso.  Come questa. Poi mi capita di fare le ore piccole con un rum in mano e un amico al fianco che mi racconta la sua vita passata e di nervi ancora scoperti. Quei nervi che fanno ancora male. Molto male. Una ferita perennemente aperta. Mi racconta di suo fratello, morto in un incidente stradale. Quando parla, tutto sembra avere una dinamica semplice, banale. Quasi ovvia. Poi prende il coraggio a due mani e mi spiega che un nuovo processo si aprirà. Che suo fratello è morto, sì, in modalità del tutto circostanziali, ma che delle persone hanno fatto di tutto per nascondere la verità. "Hanno occultato il colpevole", dice. Ed è lì che il mio cuore si ferma, che il sangue mi entra in circolo al doppio dei giri dovuti e mi prende la rabbia. Penso che molte persone non hanno voce. Che neanch'io ho una gran voce. Ma di certo riesco a urlare un po' di più. Più di lui. Posso farlo, credo. E se io urlo di tanto in più di lui, allora, è giusto ch'io gli dia la mia voce. E ce ne vorranno altri mille rum prima ch'io riesca a raccontarvi la sua storia. La storia di suo fratello. Ma lo farò.
Qui, in questa terra, è tutto un Forte Apache. Una storia in bianco e nero.

domenica 19 agosto 2012

Ogni speranza è un debito

Vivo una vita parallela. Confinata spesso in un desiderio lavorativo e in un'ambizione umana. Questo è quello che mi rimane. Quello che la civiltà, oggi, offre. E non puoi farci niente. Sembra che stiano continuamente occludendo ogni porta. Ogni via. Hanno tolto al mondo la capacità d'inventarsi un lavoro, un sogno. E si viaggia malamente così. Un avanti e indietro del tutto mentale, privo di forma, di contenuto. Privo di ogni possibile realizzazione tangibile. Un continuo mettere di virgole, punti e virgola e capoversi forzati. Scarni di ogni senso pragmatico delle cose. Impieghi ore e ore a stilare il tuo curriculum, schede statistiche per neolaureati e non fai altro che sprecare moneta sonante per buste gommate che finiranno in qualche cestino a lato di una scrivania grigia, metallica, con tante carte sopra e nessuna opera significante all'interno dei cassetti. Quello che mi fa più paura, per altro, è che non è tanto il lavoro a mancare, ma i salari. L'uomo non è nato per lavorare si sa. Il lavoro, spinto da passioni o da mero bisogno vitale, necessità in primis di una retribuzione e successivamente di un sogno, di una prospettiva di carriera. Ovvietà e discorsi triti direte voi. Mica tanto però.
Di carriera ne abbiamo fatta tanta noi, che a suon di miliardi di colloqui siamo un personale eccellente riguardo alle risorse disumane. Assumeteci, assumeteci!!!
Una vita parallela. O forse più d'una. E mi sforzo ogni giorno di inventarmi parallele su parallele che non avranno mai un abbraccio alla fine del percorso. Finiranno tutte in fondo alla pagina. Come uno sfogo. Come questo. Che ne potessi afferare una di vita, per una volta. La mia, magari.
Vite parallele, dunque. Le vite dei fantasmi del duemila.

venerdì 13 luglio 2012

Sono stato a Parigi, stanotte.

Sono stato a Parigi stanotte. Sono stato in uno di quei bistrot dove non si può più fumare dentro, ma i posacenere sui tavoli li tengono ancora. Ho ricordato tanto. Le passioni, gli amori e le bevute. Sono stato a Parigi stanotte. L'ho rivista tutta in un sorso. L'odore delle sigarette fumate. La pioggia. Oh cavoli, la pioggia di quella città è unica. Non tanto l'odore, ma i colori. I marciapiedi neri. Il ghiaccio invernale. Rue Lepic. Io e tutti gli altri. L'amore l'ho imparato lì, fra un hamburger all'Indiana e un film in lingua originale. Avevo pochi soldi, tanta fame e tanta voglia di camminare.
Sono ritornato a Parigi stanotte. Sono andato e son tornato. Son partito da qui che ero ancora seduto a un pub. Sono rimasto là con i ricordi e mi son fermato. Sono tornato, adesso, con il sorriso sulle labbra. Place de Clichy, la fourche e la linea tredici della metro.
Sono a casa adesso, ma a Parigi ci si torna solo quando è lei a ospitarti. Stasera a Trocadéro, con gli occhi lucidi, la gola in fiamme e la Tour davanti al naso, ci sono stato davvero.

lunedì 2 luglio 2012

Hanky prende voce in radio

Grazie all'iniziativa di Francesco Franceschini con il suo programma "Pagine in onda" per radio TNA, uno dei racconti pubblicati su questo blog "Il negozio del fotografo" ha preso voce. Per ascoltarlo basta cliccare qui.

(A.M.)

venerdì 8 giugno 2012

Un storia al Black Russian

Prove, provare, provato. L'habitué dei banconi sa di cosa parlo. Il mondo senza una piccola sfida non può esistere. Assaggiare un piatto nuovo, sfidare una tempesta mai incontrata fino a ora o oltrepassare la strada al di fuori delle strisce pedonali. Chi di voi non è mai andato "oltre"? Sì lo so, ci si sente spesso stupidi nel farlo, nel raccontarlo o nel pensarlo. Ma che volete? La vita quotidiana, quella fatta di minuti, larghi e lunghi, quella costruita dai ritmi di chissà quale ufficio è fatta così. Ci si mette alla prova. Si fallisce e si rifallisce ancora. A volte si vince, però. Bello o brutto che sia, tutto ciò che fate o che vi apprestiate a fare deve, in assoluto, essere sempre una sfida. Non ha importanza se tutto fa schifo. Il nuovo, l'incognita, vi farà comunque alzare il sopracciglio, spalancare gli occhi e vi farà dire un sano e rassicurante "ok". Lo so, straparlo e a volte scrivo stronzate. Quello che volevo dirvi, stanotte, è che è giusto lanciarsi. Provate, rischiate e bestemmiate, se le cose vanno male. Nessuno vi toglierà mai dalla testa il fatto di essere stati coraggiosi e pionieri di un modo di vivere privo di paure e carità. I sensi di colpa e gli affanni forzati dovrebbero abitare fuori dalla vostra casa. Quindi andate a correte. Amate un animale. Fidatevi di qualcuno una volta tanto. Prendetevi cura di voi stessi e per l'amor del cielo, fatevi una grande bevuta e una sonora scopata.

Il solito,
Hanky

martedì 22 maggio 2012

Giornalista fai da te, fai da me, fai per tre (articolo su Doppiozero)

Il mio articolo per la rubrica "Dolce attesa" sull'infelice panoramica del mondo dei giornalisti abusivi. Ringrazio Angelo Orlando Meloni, Ivan Baio e tutta la redazione di Doppiozero. Buona lettura!
Giornalista fai da te, fai da me, fai per tre (clicca per iniziare la lettura)

giovedì 10 maggio 2012

Piccolo fragilissimo film

Eravamo come due stanze dello stesso appartamento. Di quei "studio" parigini che tutto sembravano, tranne che una casa lussuosa. Eppure ci si viveva bene. Comodi. Che toccavamo l'uno la porta dell'altra. Aperta e chiusa. Divisi dalla sottile intimità dell'uscio. Pochi metri quadrati per due pazzi scatenati. Se volevi un po' d'affetto, guardavi insieme a lei fuori dalla finestra di una delle due stanze. Poi, quando ci capitava di masticare silenzi, allora, uno dei due si rannicchiava dietro l'angolo della parete in cartongesso e tutto quello che potevi sentire era l'odore delle sigarette fumate a bocca chiusa.

Hanky

giovedì 26 aprile 2012

A qualcuno piace falso

Non so voi, ma io ne ho abbastanza. Se i potenti possono permettersi di devastare le buste paga dei lavoratori, non dovrebbero, di certo, abbondare con acquisti inutili riguardo "auto-blu" e quant'altro. Da qui si capisce che la sensibilità del mondo (quella pubblica, mostrata) pare aggiungere al significato del sostantivo "falso" qualcosa in più. E' come se cambiassero i nomi di ogni cosa. Come se, al bancone, ordinassi un whisky e mi servissero una pinta di birra. Sbarelli, urli e t'incazzi. O forse no. Forse, come capita a chi possiede il "nuovo" gene italiano, stai zitto. Ti lamenti con la persona che ti fiancheggia a destra e predichi una moralità insulsa con quello che ti fuma in faccia.
C'è qualcosa che non funziona e questa non è una novità. Adesso, però, funziona ancora peggio. O meglio, mi spiego. Secondo una logica calata dal pianeta Plutone, tutto sembra essere sbagliato ma giustificabile. Per esempio; in meno di cento metri, un bicchiere di scotch varia il suo prezzo di vendita dai quattro ai dodici euro. Tutto normale, direte voi. "Dipende dalla marca e dall'utenza dell'esercizio commerciale", direbbero alcuni amici miei. E' vero. Questa è una norma, logica. Ma la verità è che tu in realtà compri sempre la stessa marca, ma per qualche strano e assurdo motivo, una bevuta ti devasti o meno il conto in banca. E' logico, dicevamo, ma sapete dirmi se è "giusto"? Ok, la giustizia non è matematica e non è applicabile in ogni parte del mondo. Ma qui pare che anche i sentimenti siano aumentati di prezzo. Alcuni, addirittura, sono deprezzati, quando dovrebbero essere merce rara.
Non lo so, a me pare che ci sia una sorta di anarchia giustificata. Gli astemi (e parlo anche dei cinici naturali) sono e si ritengono esenti da meccanismi contorti del genere. Uno è uno e due sono due. Io, invece, penso uno e mi fanno ragionare come se fosse un quattro. Da un dispari a un pari. Da popolo ad affarista singolo. A me, tutto questo, non piace.
Chiudo, scolo l'ultimo bicchiere e vi lascio. Ogni mondo è un mondo a sé e ogni uomo è un pianeta a parte. Scegliete voi in quale vivere.
Il vostro tannico,
Hanky.

giovedì 19 aprile 2012

Un disadattato, adattabile!

Blogspot cambia grafica e io non so più leggere il pannello di controllo. Saranno le birre? Forse.
Potrei commentarvi la morte del calciatore di Serie B e potrei riportavi tantissimi casi di morte accidentale-sportiva, ma non lo farò. Sono sicuro che voi avete già sviluppato la vostra opinione critica al riguardo e che dei miei commenti non ne avete bisogno. In tv passano Anthony Bourdain (che per chi non lo sapesse è il vero Hanky della cucina mondiale) e io mi sento spaesato, confuso, ubriaco. Ho bevuto un pugno di birre (dico un pugno perché di solito le si afferrano in una salda presa virile) e non mi sento così forte come un tempo. Vorrei essere il Tintin della situazione al mio giornale, ma la verità è che il posto che mi spetta, che mi sono ritagliato, è quello di un anarchico della cronaca. Un dissimulatore musicale. Uno "scassaminchia" pigro e in giacca scura. Il mondo sa essere una vera schifezza gente. Peggio di come lo si possa scrivere. Peggio di come lo scrive Fabio Volo. Peggio di Moccia. Peggio di Bruna Vespa. Forse meglio di Bruno Vespa, ma comunque è una schifezza. La gente puzza di alghe spiaggiate da mesi e i sentimenti umani si stanno abituando alla violenza emotiva. Di gentilezza pura non se ne vede neanche l'ombra. E quando provi a imporla, ti aspetta la peggiore fine: quella del dittatore. Non mi rimane che percorrere le mie strade evitando di prendere la macchina e mangiare carne rossa tutti i giorni e di bere un sano boccale di birra quando la tasca lo permette. Quello che ne rimane non ha valore. Almeno, per me.
Notte gente.

Hanky

lunedì 2 aprile 2012

Carmelo Amenta, pagina ufficiale

E' online, da oggi, la pagina ufficiale di Carmelo Amenta. Vi consiglio vivamente di farci un salto. Annoiati o meno, troverete di sicuro un minuto per far visita al sito ufficiale del blues-man siracusano. L'erba cattiva, come ricorda Carmelo nel suo precedente disco, rappresenta una parte fondamentale delle notti di qualsiasi birrafondaio di ognuno di voi. Gran bella musica, bei racconti e tanto, tantissimo stile.
A voi l'ardua sentenza.
Con affetto.
Hanky


http://www.carmeloamenta.it/home.html

sabato 24 marzo 2012

Romeo and Juliet

Esistono momenti strani, particolari. Ci si guarda intorno e involontariamente, nella tua parte fragile della giornata, si vanno a conficcare miriadi di codici decifrati che solo successivamente ritrovi indecifrabili. Sarà il buio della notte. Sarà che la morbidezza dei contorni delle anime di questa città, dovuta alla magia delle ombre, ti fotte e ti svela come semplice e già conosciuta una realtà assurda, priva di un concetto generale e che si amminchia fra le strette fessure dei particolari. I capelli di qualcuno, l'odore sbagliato delle sigarette. Perfino il biondo delle pinte ti sembra familiare, ma diverso. Strizzi gli occhi, ti accigli e tieni le mani in tasca. Bisogna pur mettere al sicuro una certezza, no? I nomi sono gli stessi, ma il sapore, gli odori e le forme sono totalmente diversi. Sbagliati, quasi. Ami questa città e ci passeggi pure sopra. Lei sta zitta e ti guida. Una sensazione strana, dicevo. Come quando ti senti rincoglionito da un sentimento per qualcuno e di botto quel "qualcuno" cambia nome, faccia e pure peso. Contenuto e contenitore. Cos'è più importante? E ancora. La natura di una cosa cambia se le cambi l'etichetta oppure no? Capiamoci. Se sei innamorato del tuo amore per una donna e poi, negli anni, continui ad amarne altre in maniera seriale, cos'è che ti dice che è tutto diverso, che una cosa adesso è nuova? L'amore non è sempre la stessa cosa? Tu che lo provi non sei, forse, capace di creare solo quel tipo di sentimento? Se il corso principale lo intitolano a un fascista, a te, cambia la goduria personale nel percorrerlo? Non lo so. Qui tutto a me sa sempre di tradimento. Un dettaglio può sconvolgere un insieme. Il concetto generale di una cosa non riesce mai a tener fede ai dettagli, infiniti e mutevoli. La ragione di credersi mutabili in lunghe distanze di tempo, ma cementati in quello che si è adesso, a me, pare tutta una fregatura. Si sta insieme e si ha sempre la paura di un tradimento. E quindi, se la gente che vive con me questo posto improvvisamente cambia, aggiunge dettagli e smontano la visione di insieme, non è forse una fregatura? L'inganno di pensare il mondo come un insieme. Non parlo di razzismo, che Lennon me ne scansi e liberi, ma di peculiarità.
Alla radio passano "Romeo and Juliet" dei Dire Straits. Io mi sento un po' Romeo stasera, mentre cambio i miei sentimenti a ogni marcia del motore. Mentre mi fido della mia macchina anche se, al primo acquazzone, i miei tergicristalli mi tradiranno e sarò costretto a fermarmi.
E questo è tutto gente.
Hanky  

giovedì 15 marzo 2012

Non è l'amore che va via...

Ho girato molti posti. Banconi bagnati e donne che si lamentano dei loro uomini. Ogni posto è differente dall'altro, ma i banconi, di questi tempi, sembrano tutti uguali. Trovi sempre il tizio con i capelli lunghi, umidicci, che si ordina la sua birra e il rochettaro da due soldi che ti professa la sua schitarrata a suon di discorsi sui dischi anni '70. E' vero, il rock a quei tempi era meraviglioso. Strano e paradisiaco. Ma cacchio, io voglio solo stare zitto, al bordo del legno del bancone, a bere e riflettere. Le mie giornate proseguono sempre allo stesso modo. Mi alzo molto tardi, scrivo e poi riscrivo. La notte scrivo ancora e poi bevo. A volte bevo e poi scrivo. Dipende. Aspetto sempre che qualcuno mi interrompa una frase, un dialogo. Qualcuno che interferisca nella frequenza dei miei pensieri. Qualcuno che si reputi più importante, tanto da farlo credere pure a me. E invece no.
Stanotte rileggo Fleming e Hammett. Voglio rileggermi un paio dei loro capitoli. La storia della mia buonanotte. L'unico modo per addormentarmi. Se muore qualcuno, che non sia io, dormo sonni tranquilli.
Fanculo a Kowalsky e fanculo al Drink in Balck & White.
E questo è tutto gente.
Il vostro Hanky.

sabato 10 marzo 2012

I ritratti di Sara

Avete presente quei primi piani di Hanky fatti a matita? Bene, lei è l'autrice, l'artista. La punta della matita che accarezza il volto di Hanky, disegnandolo. Questo e tanto altro sul suo sito. Buona navigazione.
I ritratti di sara (sito)

Un attimo di pace

Microracconto pubblicato su Noir Italiano. Una Sfida a 140 caratteri. Per leggerlo clicca qui

(immagine di proprietà di Marco Parisi)

venerdì 2 marzo 2012

Al "Drink in Black and White"...

‎"Si vive di snobismo, cinismo e mala informazione. C'è pure qualcuno che dice d'amarti con due pistole cariche in mano e un coltello affilatissimo ficcato dentro al tacco a spillo. Poi ci sono quelli che abbassano le difese. Li trovi sempre lì, al Drink in Black and White, che bevono birra e parlano di calcio. Se guardate bene c'è pure un tizio che sfida l'ombra della lanterna, nel cortiletto interno. Fuma due o tre sigarette e beve un bicchiere di whisky liscio, senza far rumore. Non più di tanto. Quello è l'uomo della provvidenza. Forse esiste, forse no. Qualcuno dice di averlo visto baciare una bionda alta tre metri. Altri dicono che è alto poco più di un metro e che di donne ne ha ben cinque al seguito. Io l'ho visto solo, abbandonato all'indifferenza. Mi parlava di un amore perso. Mi raccontava della sua grande e unica storia d'amore. Così bevemmo insieme fino allo svenimento. L'indomani mi ritrovai un biglietto con su scritto «Buona fortuna». Sparì con il primo giorno utile e d'allora non feci altro che raccontare la sua storia. Il suo amore perduto. La sua vita invisibile."

Una nota in nero (racconto pubblicato su Noir Italiano)

Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sul noir, o meglio, sulla musica noir. A me è venuta in mente questa storia. Un piccolo racconto che mi rimanda indietro di qualche anno. Conosci tutti e non conosci nessuno. Le note, però, quelle sì che te le ricordi. Me ne ricordavo una dipinta di nero. Era triste e riposava sulla terra che avevo lasciato. (Leggi qui il racconto)

mercoledì 29 febbraio 2012

Un bicchiere con: Alberto Minnella (intervista su Noir Italiano)

Alberto Minnella, classe 1985 (la mia, tra le altre cose), siciliano di Siracusa, articolista di giorno e scrittore noir di notte. Appassionato di musica, collabora con varie testate isolane. Ha dato vita a un blog nel quale ha preso forma il personaggio di Hanky, alter ego dell’autore e figura perfetta per un noir ambientato in una Siracusa sconosciuta. L’idea di un blog nel quale non è l’autore a parlare bensì il suo personaggio mi è parsa stravagante e originale. Per questo ho deciso di chiedere spiegazioni al suo creatore...
(l'intervista continua  su Noir Italiano)

mercoledì 22 febbraio 2012

Heroes (and I, I'll drink all the time)

Le notti passano in fretta, si sa. Soprattutto se le passi a dormire. Io non dormo mai, ma non è una scelta. E' così e basta. Capita pure, delle volte, che mentre attraversi l'umido delle serate siciliane, e respiri forte l'odore della notte, riesci a inebriarti di eventi lontani, come fossero vita su Marte. Attimi dispersi nel tempo e presenti nella memoria dei solchi delle pieghe delle mani. Quando questo non accade, sei solo, con un brano in sottofondo (onirico, malinconico e rabbioso) e che stringi forte lo sterzo e te ne fotti delle buche, delle pozzanghere e del fango che s'incolla alle portiere della macchina.
Altre sere, invece, sei nel presente e hai qualcuno accanto. Gli abbracci, i baci e le smorfie buffe. Le tue.
Capita che di notte le persone non siano sole, e per fortuna capita pure a te. Capita che qualcuno diventi padre, che dall'altra parte del mondo un adolescente crede che una ragazza sia l'amore della sua vita. Per sempre. Capita anche a te di pensare "per sempre". Un "per sempre" fatto di quell'eternità paradossale. Attimi infiniti di un presente semplice, profumato, elementare. Come il sapore del primo sorso che dai alla birra. La prima sigaretta del mattino. La sensazione della pelle appena rasata.
Ecco, come quando esci dalla doccia, con la pelle priata e rilassata dal getto d'acqua bollente. Come quando inizi a sentire freddo e ti strofini addosso l'accappatoio. La sensazione del fon sui capelli bagnati.
Da qualche parte, lì fuori, c'è un neo papà, dicevo. C'è anche un bambino che soffre di tachicardia per amore. Chi si lava le mani sporche e chi si asciuga i capelli dopo un temporale. Da qualche parte, vicino a te, c'è qualcuno che non fa finta d'aspettarti, ma sta lì, immobile, che sa che prima o poi arriverai.
Ho sentito le saracinesche del pub chiudersi. Il rumore degli pneumatici sfidare l'acqua sull'asfalto. Il mio ego rattrappito dal passato che muore e la mia faccia che si stende, piano piano, senza fretta, come quando il sole di metà mattinata t'asciuga il balcone bagnato dal temporale notturno.
Il solito Hanky

venerdì 10 febbraio 2012

Hanky Fashioned

Arrivi a casa che sei una pezza! Un panino alla tua sinistra e un pacchetto di Marlboro alla tua destra. Hai bevuto, sì, ma non sei poi così incosciente. Mastichi, rumini e fumi. Hai già bevuto abbastanza e le cose non potrebbero andarti meglio di così. Le chiacchiere non sono mancate. Hai parlato di uomini inutili, di generazioni perdute e di scelte non fatte. La gente non sceglie, dici. Le persone si accontentano, dice lei. Pochi fronzoli e molte carezze. Lei beve, ma mai meno di te. Tu ti fermi al tuo ultimo drink, mentre lei non ne ha mai abbastanza. Si parla di birre corrette con Gin, uomini lasciati al proprio destino e pesca estrema, ma mica tanto, in una sotto forma di maschilismo sano.
Stacco, primo piano. Pub vicino casa. Il barman inventa un Hanky-fashioned. Hanky beve il suo drink. Ci si regge poco al bancone, ma la compagnia è buona. Una rossa, riccia, che discute del più e del meno e una castana sciatta che regge a stento il filo del discorso.
Mi sposto, sono al secondo bicchiere. Mi trovo dietro al bancone. Un cameriere, con una doppio malto in mano, mi segue. "I locali chiudono troppo presto, tranne il vostro", dico. Lui annuisce.
Mi manca lei. E' lontana, chissà dove.
Passato e presente si miscelano e creano una serata ambigua.
Mangio, ho il mio panino in mano. Ho paura a far leggere il mio romanzo; ho paura che sia tu a giudicarlo. Poco importa. La mia guida dice che sono un artista. Io dico che sono solo un fumatore, beone e grafomane. Lei vuole le mie parole. Io voglio che si leggano.
A casa tutto è più caldo e più comodo.
Il sangue ha ripreso a circolare. Le mie mani si articolano nel senso giusto. C'è caldo. Tepore confortante. Sono a casa, senza alcun dubbio. Vi scrivo.
E' l'ora di dire "buonanotte".
Notte.
Hanky.

mercoledì 1 febbraio 2012

Whisky Sour

Non ho voglia di scrivere. Scrivo, ma non c'ho voglia. Riesco benissimo a contare i drink che ho bevuto, ma ho il vuoto più totale. Niente idee, niente colpi di genio e le digressioni non sono neanche di casa. Capita alcune sere. Come quando esci con gli amici, magari uno o due, e stai lì, con un muso lungo due chilometri che riusciresti a bere dal bicchiere anche da seduto, con il drink poggiato sul tavolo di fronte.
Racconto qualcosa. Mi raccontano qualcosa. Fatti, idee, storie di altra gente che scrive.
Sono a casa da circa venti minuti. Ho improvvisato un cocktail ed è buono. Sigarette, lei in webcam e io che scrivo. Non voglio scrivere, ma scrivo lo stesso. Non è una questione di stile. Scrivere è sopravvivenza. Almeno per me. Mi capisco, mi confondo e mi rispiego.
La mia storia si è fermata nel bel mezzo della suspance.  Meglio così.
Lontani gli abbracci e lontani i baci. Dovresti essere qui, mi dice. Dovrei essere lì, penso.
Gli ultimi giorni si dividono così; quello che vuoi capita fra cent'anni e quello che desideri si materializza con gli occhi chiusi.
Chiudiamo gli occhi, allora. Io sono qui. Scrivo e riscrivo, ma non voglio scrivere. Una lotta infinita fra la volontà del non fare e il dovere di dover fare qualcosa.
Mi faccio un altro Whisky Sour e tutto si ghiaccia.
Fuori fa freddo e se nevicasse, sarei bianco anch'io.
Hanky

sabato 28 gennaio 2012

Just like a woman

Cambia prospettiva. Accendi la radio e fregatene. Non importa se sai già che disco hai in heavy rotation in macchina. Tu vai. Non t'importa più neanche della strada. Tanto sono tutte uguali. Gli insegnamenti, il Do maggiore. Tu pensa a saper passare dal maggiore al minore e poi vedrai. Vuoi la birra? Prendi un whisky. Vuoi lo scotch? Prendi una sigaretta.
Cambia, cambia. Non importa se stai guidando un'auto di lusso o hai affidato i tuoi pensieri alle tue scarpe nuove. Tu muoviti. Gira a destra e cambia strada. E' più lunga, lo so, ma tu fallo. Non vuol dire niente "è così che si fa" o "stai sbagliando". Tu sbaglia, che te ne frega? Se vuoi cambia la tua colonna sonora. Svegliati presto, e se lo fai da una vita, allora, svegliati tardissimo. Conoscila, parlaci, chiedile subito scusa per come la lascerai fra due anni. Non importa se avrai la fortuna di vivere l'intera vita con lei. Tu chiedile scusa.
Nuota e mentre sei a pelo d'acqua e cambia la tua natura animale, cambia stile. Muovi diversamente le braccia. Se vuoi, torna indietro. Prendi la macchina e metti lo stesso disco di prima.
C'è Dylan che passa in radio..."lei fa l'amore proprio come una donna"... è quello che senti. Lascia che Bob canti. Ferma la macchina oppure finiscila di camminare e camminare. Fermati. Fumati quella sigaretta. Sei a casa adesso. Alzati dalla sedia e smettila di scrivere.
Hanky

mercoledì 25 gennaio 2012

You can't always get what you want

Ellis, Hornby e Calvino. Hemingway sul comodino con "Festa mobile" che mi ricorda il mio periodo parigino da inesperto boemio italiano e la città la fuori che mi ricorda dove son finito. C'è chi mi accusa di eccesso di zelo e chi mi rimprovera per eccessiva procrastinazione. Obbiettivi da raggiungere e mete conquistate. Eccessi da un lato ed eccessi dall'altro. E questo che il paese offre. Destra, troppo di destra, e Sinistra troppo... va bè, lasciamo stare. Birra o whisky, etero o omosessuale. Vivo o morto. "Sopravvissuto", mi verrebbe da rispondergli.
Niente è dovuto al caso, e nessun caso è figlio del nulla. "Vorrei che quella donna non fosse così lontana", penso. Vorrei che nessuna persona fosse così lontana, in realtà. Invaghirsi per caso di un bel viso conquistandosi l'emancipazione sentimentale per volere del fato.
Ho messo su un disco degli Stones. La birra è ancora fredda e so di averne ancora in frigo. Alla faccia di chi si lamenta che al bancone dov'è seduto Hanky c'è sempre troppo alcol, e che non vada bene.
Ho voglia di dirvi un paio di parolacce di getto, ma sono solo di passaggio, stasera.
Breve, conciso e notturno.
Il vostro Hanky

giovedì 19 gennaio 2012

Revolution N° 9

Manco da molto al mio bancone preferito, ma è così che è andata questa storia.
Gli amici più stretti vivono, ormai, per la maggior parte, al nord.
Nei supermercati è rimasta solo la Pepsi, il sesamo e qualche fesseria alimentare. Niente acqua, niente cibo, niente amici. Niente più Megavideo, visto che oggi hanno arrestato il proprietario della piattaforma, che deve all'America ben cinquecento milioni di dollari per la violazione sul copyright. La birra, quella ancora c'è ancora, ma non è una consolazione. Quando sugli scaffali rimangono solo i vizi da poter comprare, allora vuol dire che è finita la pacchia. Quel vizio diventa un bene unico, quindi da "vizio" diventa "necessità esclusiva".
Nel frattempo i forconi si sono infilzati nelle chiappe (sia in quella destra che in quella di sinistra) di tutti noi siculi e sicani. E nonostante i miei dubbi sul movimento, causa la scarsa informazione, ma anche un po' di sospetto (forse immotivato) mi rimangono ben pochi motivi per cui sedermi al bancone e bere. Un whisky non risolve nulla. Il whisky è buono solo quando è un surplus alla giornata trascorsa.
Scrivo, questo sì. Non posso farne a meno (suona come la solita cazzata, ma è così). Vorrei anche ascoltare più musica e suonare di più. Ma i tempi non sono quelli giusti.
L'unica cosa che mi rimane è l'immagina del caschetto rosso di una ragazza che non conosco. Di una donna che vive lontano. Sono sicuro che anche lei avrà ben poco da festeggiare stasera. Di certo non avrà bevuto, però, maledetta lei, sa sempre come pigliarmi. Domani avrò voglia di sentirla. Chissà se, paziente nell'ascoltarmi (come è solita fare), pur di vedermi, avrà di nuovo la scusa di offrirmi da bere. E anche se non vorrà, amen; a me interesserà solo raccontarle della mia giornata, spesso piatta, insignificante. Davvero, a me adesso importa solo che ci sia qualcuno che voglia ascoltare la mia storia, magari lei, magari raccontata a voce bassa, in mezzo a tutto questo casino immane, di cui lei è ordine e meraviglia.
Hanky

mercoledì 11 gennaio 2012

Siracusa, la città fantasma

Camminavo in lungo e largo, per quello che è "lo scoglio" e non si vedeva anima viva. Birra in mano, bavero del cappotto costantemente alzato, e sigaretta in bocca. Pareva che l'inverno in Sicilia se lo fossero inventato giusto quest'anno. Ti viene da pensare che anche i fantasmi hanno lasciato il posto al silenzio del vento freddo e umido, che ti spacca le ossa e ti costringe a camminare rapido, di fretta, come se ci fosse qualcuno dietro, uno di quegli inseguitori immaginari, o come se avessi davvero una meta da raggiungere il prima possibile. 
In realtà non stai andando da nessuna parte, perché non esiste "una parte" precisa dove dirigersi. 
Dove sono finiti tutti? Anche i locali erano chiusi e quei pochi rimasti aperti, sembravano le segrete madide di qualche castello arroccato sui precipizi della Moldavia. Ecco, certe notti, la Transilvania potrebbe essere la cugina di primo grado di questo paesello del Sud. 
Di certo c'è che girare in solitaria per questa città, vagabondando da un pub vuoto all'altro, tracannando whisky e birra alla come capita, per poi metterti in macchina e alzare Bob con Freewheelin' a palla sulla strada del ritorno è cosa da romanzo anni 70. Sono di quelle cose siracusane che se ci sopravvivi, puoi campare cent'anni, oppure dieci.
Hanky

lunedì 9 gennaio 2012

Like a rolling stone

Spesso mi trovo d'accordo con la pioggia. No, non sono sotto acido. Sono affascinato dall'incoerenza con cui cade. Un po' d'acqua qui, un po' da quell'altra parte; lì no, lì non cado, perché "ci vorrebbero piuttosto delle fiamme, così magari qualcosa, finalmente, si accenderà". L'acqua piovana è assolutamente  criptica, finta. Usa continuamente delle maschere. Sembra sempre limpida, imparziale, e del tutto naturale. Invece spesso è sporca, si porta la sabbia dentro e la sporcizia che le viene regalata chissà da quale soffio di vento che ha rubato, senza chiedere il permesso, la terra a popoli lontani. A me piace essere come questa pioggia. A me piacciono i falsi intellettuali che prima ti illuminano su qualcosa a cui tu non avevi pensato e poi te li ritrovi a parlare di fica con un paio di bifolchi privi di rango. A me piacciono quei dischi dove prima è tutto folk e poi tutto hard rock e poi alla fine non ci capisci niente e lo regali. Sono letteralmente affascinato dalle donne che per tutta una vita hanno goduto e vissuto la loro grande storia d'amore, ma che una mattina, proprio mentre fuori piove a dirotto, si riscoprono solo intenditrici di lenzuola e cuscini. Capita, delle volte, che mi piaccia anche il mio nemico, così tronfio e sicuro di se, a differenza di me che sono piccolo, magro e perditempo.
Mi piacciono i Beatles, gli Stones. Mi potrebbe piacere anche Britney Spears, se magari un giorno riuscisse a scriverne almeno uno di pezzo commercialmente decente. Mi piacciono le ragazze fidanzate che vivono da single. Insomma, se guardi un Horror fatto bene puoi anche commuoverti no? E se guardi un film sentimentale puoi anche diventare violento per come hanno ridicolizzato la complessissima natura di un essere umano. 
Io voglio essere come questa pioggia, sporca, che imbratta le macchine e permette a qualche passante di scriverci "Lavami", o a qualche romantico di disegnarci sopra un cuore (che fa molto anni 90, ma va bene lo stesso). Voglio essere pure amico di questo vento, che ruba, ma è sincero. E poi voglio una barca di soldi per stare tutto il giorno a casa a grattarmi la pancia, fra sigarette, pagine bianche da riempire e milioni di dischi da far suonare. 
Con la testa bagnata
Hanky

giovedì 5 gennaio 2012

She loves you...

Ero dall'altra parte della sala. Lei danzava e si dimenava, come se non ci fosse niente di più naturale. Non le si vedeva il viso. Il suo caschetto le copriva gli occhi, e cercavo di capire come i suoi occhi potessero seguire la frenesia incessante delle sue gambe, dei suoi piedi. I suoi pensieri, le sue delusioni, erano tute lì, fra un "un, due, tre e quattro" e le frazioni di tempo che contava sul rullante che batteva ogni due e quattro. Credo fosse un brano dei Beatles, qualcosa che le permettesse di rendere i contorni delle sue spalle il più astratti possibile. Eppure nella mia testa era ferma, immobile. Definita, come fosse un quadro fatto solo di linee nere e geometriche. Non so spiegarmi come, ma era l'unica cosa interessante della notte. I miei whisky scendevano giù acidi in gola, perché la sola cosa che davvero contava, era che nella confusione immane che mi si parava davanti, l'unica perfettamente distinguibile era lei.
Le ho visto gli occhi, e tornando a casa ho visto pure i miei, neri come la notte o come il buio che cercavo di vincere. Bella, bellissima. Piuttosto fragile - pensai - viste le braccia esili e il collo sottile sottile come una matita. Non c'era niente di più importante in quella stanza, se non lei. Quella notte, e per le notti a seguire, nulla valeva la pena d'esser ricordato, se non un caschetto castano che ubriacava gli astanti a suon di rock'n roll.