mercoledì 16 luglio 2014

Nel cielo dei bar

C'è chi lascia suonare un disco, brano dopo brano, e chi salta freneticamente da una canzone all'altra, da un disco a un altro. C'è chi corre per dimagrire e conta i chilometri fatti e chi lo fa per disintossicare il fisico dai veleni della vita quotidiana. C'è chi parla di una cosa a caso, purché il tono di voce sia quello giusto e chi sta zitto, con le labbra incollate al bordo del suo bicchiere, rispondendo alla notte con lo sguardo da duro. C'è chi preferisce sedersi all'angolo estremo di un pub per poter avere tutto sotto controllo e chi sta in piedi, al bancone, dando le spalle agli sconosciuti, che poi sconosciuti non sono mai. C'è chi scrive per malinconia, per una ferita aperta e chi per un ricordo passato, una chiave di lettura del presente o una smorfia sorniona per l'odore che avrà l'avvenire. E poi ci sono io, con un sigaro in mano, un bicchiere mezzo pieno nell'altra che osservo quello che rimane della gente, di chi è andato via, a Teo, al profumo di un'onda ormai dissoltasi e di quanti giorni sono passati credendomi quello col guizzo giusto, di aver lasciato il segno nel petto di qualcuno, un marchio sulle sue pupille, di aver perso la vista per un caschetto rosso venuto da lontano, e che alla fine, invece, d'un tratto, rendersi conto che l'unico segno ch'io ho lasciato è un cerchio bagnato, tatuato su un tavolo qualunque e un posacenere pieno di cenere di discorsi già fatti e che prima o poi qualcuno svuoterà in un puzzolente sacchetto dell'immondizia. E allora, gente, ci vendiamo al fondo di un bicchiere. Il mio inferno; il mio paradiso. Il mio cielo dei bar.

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