giovedì 30 aprile 2015

Nel lungo addio, alla falcata di un ricordo

Rientro a tarda notte, che le ore si fanno più piccole di un'unghia. Stordito, stremato; così sono in questa notte e quelle addietro. A ogni tre passi sempre la stessa domanda: dove sei? 
E nel mezzo le cose da fare, quello che vorrei diventare. 
Mi leggi? Dove sei? 
Ci perdiamo, ci spalmiamo. «Sono una persona diversa» dici. Sono diverso anch'io, ti rispondo. Cos'altro potrei essere senza di te? 
Né prima né dopo. Un passo avanti, due indietro e un salto nel vuoto. 
Mi leggi? 
Rientro a tarda ora, ogni notte. Stordito, stremato. 
Così ieri e poi ancora domani e domani e domani. 
Dici che un aereo t'ha cambiata. Così per me. Il tuo d'andata, il mio di ritorno. 
Ritornare a me. 
Tarda ora, notte per notte, e così in avanti, scollatomi in questa tortura che non subisci; a me tocca difendermi. 
Fumare. Un sigaro è solitudine. La stessa che oggi mi fa forte, che rifiuta tutti, pure l'amore e in cui mi hai costretto a vivere. 
Notte, sempre più tardi, ogni sera. 
È quasi l'alba. 
Dimmi: tu mi leggi, ancora?
Io sì e da lontano ti tengo precaria per due dita, le stesse che usavi tu e mi disegnavano occhi e labbra. 
Non il primo, nemmeno l'ultimo, sporcato dalle tue matite. 
Sei stanca, lo sono anch'io, così tanto che questo volto non è mio. 
Ma lascia che te lo chieda ancora: mi leggi?


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