sabato 24 novembre 2012

Tutte le volte che dico addio

Mi accendo la pipa e mi siedo. Davanti a me ci sono due mie cari amici. Amicizie da pub. Amici autentici. Naturali. Si chiacchiera e si ride. Si parla di politica, di sfruttamento del lavoro. Alzo la voce sulla disumana condizione degli extracomunitari che io amo chiamare "gente del mondo" e ci si commuove. Beviamo. Un sorso al mio bicchiere, uno a testa, i due ai loro bicchieri. Stringo la pipa, faccio un paio di boccate e mi libero sopra le teste di tutti seguendo il fumo del mio tabacco. Siamo tanti e siamo in pochi. Noi tre a quel tavolo. Sentiamo profonda la nostra non diffidenza e percepiamo ancora più forte la voglia di parlare con chi non la pensa come noi. «Qui manca il pluralismo», dice Marco. «Abbiamo sempre ragione solo fra noi pochi», sostiene Nello. E si va avanti, per ore. Il tempo passa così in fretta che arriviamo quasi a baciare l'alba. Gli occhi sono ancora lucidi, soprattutto i miei. Poi un saluto veloce e si va a casa. La mia macchina è lontana e da sotto il cielo, piccolo come sono, piove. Le mie scarpe di tela singhiozzano sopra le pozzanghere e finalmente entro in macchina. Sono al sicuro, sul sedile del guidatore e penso: «quante di queste discussioni gli altri fanno?» Spero tante. Infinite. Spero di far parte della massa. La stessa che per me significa popolo. Significa identità, dignità umana. Penso a chi crede in Dio e viene deriso. Penso a chi non ci crede e viene ugualmente umiliato, sbeffeggiato. Rifletto sulla non dignità umana di questo paese. Penso a me. A voi. E a fatica, riesco a chiudere gli occhi, nella speranza di svegliarmi domani e di avere ancora la voglia di scrivervi, con la mia solita rabbia, con il mio inguaribile caratteraccio, con la voglia di sentire la vostra voce che mi critica e mi approva."

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