Avevo riattaccato che parlavo da solo. Poche e semplici parole che non so ancora se avevano avuto gambe tanto forti da arrivare in cima al discorso, lì sopra dove la testa della bestia morente stava per staccarsi una volta per tutte. Forse, quelle parole erano domande, ma goccia dopo goccia il sangue dell'animale cominciava la discesa e non ebbi mai la certezza che un punto interrogativo sapesse nuotare, resistere e respirare nel rosso della morte.
Avevo riattaccato che parlavo da solo, ma dopo meno di un minuto non ero più sicuro di aver detto qualcosa, perché avevo le labbra annodate e le narici sembravano feritoie strettissime e l'aria passava appena.
Avevo riattaccato che parlavo da solo e ormai la testa aveva abbandonato la bestia. S'era inclinata di colpo all'indietro, travolgendo l'ultima domanda rimasta appesa al petto suo.
Avevo riattaccato che non parlavo più, giacché avevo l'idea di aver discorso tutto solo, che l'animale era morto tempo addietro e io ne coprivo il puzzo da cadavere con l'odore dei ragionamenti buoni.
Avevo riattaccato che non c'ero più neanch'io e fui certo, ma fu d'improvviso, di aver composto il numero sbagliato e che la bestia morta non era davvero, ma viva e non più belva, che m'aspettava solitaria davanti a un telefono bianco di cui io non avevo ancora il numero.
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